Il panettiere, il formaggiaio, il macellaio, il barista. Hanno ruoli diversi ma appartengono tutti alla stessa categoria: in qualità di gestori del negozio e di somministratori di generi alimentari e bevande, nel nostro inconscio sono assimilabili a figure con parziali funzioni genitoriali. Con loro si instaurano quelli che si chiamano, in psicanalese, dei microtransfert: chiediamo loro di rispondere, per qualche momento, ai nostri bisogni di accudimento, parziali, ma sicuramente non di poco conto. Ci aspettiamo anche che lo facciano bene, rispondendo ad alcune caratteristiche che scegliamo con cura. Le carote fresche e genuine che sono così fresche e senza pesticidi che devi consumarle in due giorni o il pane integrale con la crosticina un po’ croccante al punto giusto solo il panettiere all’angolo lo fa così… Certamente non si deve pensare alla situazione eccezionale o al passaggio rapido per una necessità imprevista, ma piuttosto alla frequentazione di un locale di fiducia. Succede allora che nel bar sotto casa siamo delle colonne portanti: clienti abituali e riconosciuti, anche per la nostra ordinazione abituale. “Il solito?“ chiede il barista. Oppure nemmeno chiede più, prepara il cappuccino o il caffè in un’atmosfera di confidenza piacevolmente rinnovata. Bene: giorno dopo giorno, in modo silenzioso, si organizza quello che noi psicologi chiamiamo un piccolo transfert, cioè un legame che inconsapevolmente si carica di significati emotivi che vanno al di là della reale portata. Basti pensare che quella volta che ci è capitato di entrare, per un caso eccezionale, nel bar al lato opposto della strada. Cioè in un ALTRO bar, diverso, non il nostro solito: ne siamo usciti con uno strano senso di amarezza, quel vissuto fastidioso da traditore.